Monday Sucks: Al di là del genere

I diritti LGBT hanno fatto enormi passi in avanti negli ultimi anni. In particolare, si stanno pian piano sfumando i confini tra i generi, garantendo anche a chi non si identifica pienamente con il genere maschile o femminile la possibilità di trovare un’identità. La discussione sul genere – al di là della fantomatica teoria gender che, ricordo, è tutta una paranoia di una certa classe politica e religiosa – non si è ancora pienamente aperta in Italia per numerose ragioni che tralascio di elencare, ma negli Stati Uniti è una questione di primissimo piano.

 

Qui e in copertina, la campagna FW15 di & Other Stories, interamente realizzata da un team transgender.

 
Siamo tutti  d’accordo che per definire l’identità interiore entra in gioco anche l’aspetto esteriore. Per questo la moda si sta muovendo verso i campi ancora inesplorati del gender less o del gender fluid. Questo blog ha, sin dalla sua nascita, cercato di non proporre stereotipi di genere: per questo uso gli asterischi quando scrivo, perché voglio che tutti si sentano inclusi quando leggono i miei post. Tuttavia i capi che propongo sono spesso quelli che si trovano nel reparto “donna”, perché chi vi scrive è una donna cisgender, che conosce e indossa capi pensati per donne cisgender. Ma il mondo cambia, è vario, e la moda si adegua. Le forme si fanno sempre più unisex, i colori sempre più neutri e i confini sempre più fluidi. 

  
Fare moda gender fluid non significa solo abbracciare una causa o sostenere una minoranza, ma è una vera e propria sfida creativa. La possibilità che hanno in mano gli stilisti è quella di reinventare i concetti di “womenswear” e “menswear”, portandoli ad un livello ulteriore. Un livello che coinvolga tutti, cisgender e transgender, e che permetta a chiunque di non sentirsi etichettato sulla base del proprio abbigliamento.